Lotta alle fake news e campagne di informazione virtuosa: la nuova frontiera della battaglia contro il covid – 19 in Africa
Africa

Lotta alle fake news e campagne di informazione virtuosa: la nuova frontiera della battaglia contro il covid – 19 in Africa

Di Emanuele Oddi
22.04.2020

Il 30 marzo scorso, il Sud Sudan, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Unicef, ha lanciato una campagna di comunicazione volta a informare la popolazione circa le norme igieniche da adottare per contrastare la diffusione del COVID-19, nonché la proliferazione di false notizie al riguardo. Difatti, nonostante in Sud Sudan siano stati registrati pochi casi di coronavirus, il Paese è potenzialmente esposto ad un elevato rischio sanitario per la mancanza di strutture ospedaliere e per l’alto numero di sfollati interni (1,8 milioni di persone). Perciò, seguendo le prescrizioni dell’OMS, il Governo di Juba ha attivato una massiccia campagna che ha coinvolto 25 stazioni radio locali che hanno diffuso messaggi riguardanti il COVID-19 in dieci lingue locali differenti. Parallelamente sono stati distribuiti oltre mezzo milione di manifesti, striscioni e volantini. Il supporto dell’OMS a questa campagna è dettato dal timore per l’emergenza sanitaria rappresentata dalla diffusione del coronavirus nell’Africa sub-sahariana.

Tuttavia, allargando lo sguardo al resto del continente, una campagna informativa come quella adottata dal Sud Sudan rischia di essere poco efficace. Difatti, l’utilizzo dei media tradizionali (radio, emittenti televisive, quotidiani), per diffondere informazioni sulle buone pratiche da adottare per fronteggiare il COVID-19 e contrastare la diffusione di fake news al riguardo presenta alcune criticità, amplificate dalla scarsità di dati scientifici circa la pandemia di coronavirus.

La prima è rappresentata dal deficit di elettrificazione del continente africano. Una campagna informativa capillare attraverso radio e televisioni richiede che il territorio disponga di regolari servizi elettrici di base, ma, nel 2017, il 66% della popolazione del continente, circa 600 milioni di persone, non ha avuto un regolare accesso ai servizi elettrici. Questa carenza infrastrutturale riduce notevolmente l’impatto delle campagne comunicative realizzate tramite emittenti televisive e radiofoniche in ampie regioni dell’Africa sub-sahariana.

Una seconda barriera comunicativa è rappresentata dall’alta percentuale di analfabetismo in alcuni Paesi, che limita notevolmente l’efficacia di quotidiani, manifesti e volantini. A causa di molteplici fattori, il tasso di alfabetizzazione nel continente africano è estremamente vario, passando dal 93% in Sudafrica, al 58% in Burkina Faso. In particolare, Nigeria ed Etiopia, i due Paesi più popolosi del continente, si segnalano per una percentuale di alfabetizzazione attestata al 75%. In termini assoluti, questo significa che rispettivamente circa 50 e 25 milioni di persone non possono essere efficacemente raggiunte dalle informazioni diffuse tramite i quotidiani. Queste due criticità rischiano di avere un impatto deleterio sull’efficacia delle campagne di comunicazione messe in atto tramite i media tradizionali, riducendo la capacità di questi Paesi di poter contrastare la diffusione del virus.

Un ulteriore elemento che limita la potenza informativa dei media tradizionali è la costante crescita degli utenti internet nell’Africa sub-sahariana. Per decenni, giornali, radio e televisioni sono stati considerati i mezzi d’informazione più affidabili, ma da circa vent’anni questa legittimità è messa in discussione dalle informazioni veicolate in rete. Oggi, l’Africa è la terza regione al mondo per utenti internet grazie all’evoluzione delle reti dati mobili che permettono di accedere al web tramite lo smartphone. Questo tipo di tecnologia ha rapidamente incrementato il numero di utenti in tutto il continente africano e oggi su un totale di 525 milioni di fruitori, circa 300 milioni accedono al web tramite le reti dati mobili. Considerando le difficoltà di penetrazione dimostrate dai media tradizionali, senza dimenticare lo stretto controllo che molti Governi africani hanno sugli stessi, il web, e in particolar modo i social network, sono diventati le sorgenti di notizie più utilizzate nell’Africa sub-sahariana.

Tuttavia, pur rappresentando una svolta storica, l’approvvigionamento di notizie tramite il web e i social network, in Africa come nel resto del mondo, presenta il rischio di accedere a notizie non verificate o false, le cosiddette fake news. In altre parole, informazioni non corrispondenti al vero, ma apparentemente plausibili, che sono divulgate intenzionalmente, soprattutto tramite i social network (Whatsapp, Facebook, Twitter).  La propagazione delle fake news tramite i social network le rende una variabile difficilmente controllabile da parte dei Governi e potenzialmente dannosa durante un’emergenza sanitaria come quella di coronavirus. Le campagne di comunicazione ufficiali (governative o dell’OMS), se da un lato sono necessarie per illustrare le corrette prassi igenico-sanitarie e le misure securitarie adottate, dall’altro sono fondamentali per smentire le fake news diffuse tra la popolazione. Difatti, nell’ambito di una pandemia, la propagazione di notizie false può incrementare il rischio sanitario inducendo la popolazione a disattendere le corrette profilassi.

Ad oggi, pur non essendo tra le regioni più colpite al mondo, nell’Africa sub-sahariana si sono diffuse numerose fake news circa il coronavirus, propagandate da autorità religiose, leader tradizionali, blogger, personaggi pubblici o del mondo dello spettacolo. A causa dell’esperienza maturata dai Paesi sub-sahariani nel fronteggiare altre epidemie, alcune di queste notizie false non sono di recente elaborazione, ma sono dei leitmotiv già emersi in occasione di passate emergenze sanitarie. Le più pericolose sono le notizie secondo cui il coronavirus infetti solamente i “bianchi” o che sia una cospirazione delle case farmaceutiche contro il continente africano, dove un ipotetico vaccino sarà testato ma non distribuito. Queste false notizie potrebbero non solo favorire comportamenti irresponsabili da parte della popolazione dal punto di vista medico, ma anche provocare reazioni violente da parte della popolazione contro gli operatori sanitari. Altre informazioni false riguardano la possibilità di proteggersi dal COVID-19 attraverso decotti, bevande naturali e specifici alimenti, oppure che alcuni luoghi sacri siano immuni dal virus. Questo è il caso di Touba, in Senegal, città sacra della confraternita islamica del muridismo, i cui rappresentati religiosi hanno diffuso la notizia secondo all’interno del perimetro cittadino non si possa diffondere il coronavirus. In seguito a queste dichiarazioni, il governo senegalese ha richiamato le autorità religiose in questione ed ha inasprito le pene per i cittadini che diffondo fake news, seguendo l’esempio di Sudafrica e Kenya, dove la propagazione di notizie false riguardo al coronavirus costituisce un reato penale e comporta l’arresto.

Tra le molteplici notizie false propagandate in queste settimane, quelle che hanno conosciuto la maggiore diffusione sono le fake news circolate tramite file audio. Ad esempio, in Kenya, il governo ha dovuto emettere un dispaccio ufficiale, per smentire un presunto briefing ministeriale circa l’emergenza. Innanzitutto, i file audio elaborati per diffondere notizie false tramite i social network sfruttano un supporto, lo smartphone, e una tipologia di file, l’audio, che elude agilmente le barriere comunicative precedentemente ricordate. Difatti, l’utilizzo dello smartphone non richiede un accesso continuo ai servizi elettrici, a differenza della televisione e, soprattutto, i file audio possono essere recepiti e diffusi senza la necessità che i fruitori siano alfabetizzati. Inoltre, la diffusione di false notizie non avviene indistintamente su tutti i social network, ma per lo più su quelli con la più alta percentuale di utilizzo. Nell’Africa sub-sahariana Whatsapp è la piattaforma di messaggistica più utilizzata dagli utenti internet, circa il 27,5%. A questo dato, va aggiunto quello degli utenti che utilizzano le cosiddette versioni knock-off di Whatsapp, ovvero applicazioni non ufficiali che integrano quella originale con alcune funzionalità aggiuntive, permettendo ai propri utenti di comunicare anche con gli utenti dell’applicazione ufficiale. Tra queste spicca, con il 4% degli utenti internet, GBWhatsapp, con cui si possono condividere file fino a 50mb, a differenza di quella originale il cui limite è di 16mb. Altre piattaforme come Facebook e Twitter sono molto meno utilizzate e, perciò, l’impatto che la diffusione di notizie false ha su questi social network è minore. Invece, data l’alta percentuale d’utilizzo, la diffusione di fake news tramite Whatsapp e le sue versioni knock-off durante l’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus, non solo sfugge al controllo governativo, ma riesce a raggiungere ampie fette di popolazione a differenza delle campagne di comunicazione ufficiali realizzate tramite televisioni, radio e giornali, innalzando il livello di rischio sanitario.

Alla luce di quanto detto e data la costante propagazione del coronavirus nel continente africano, che oggi conta oltre 6000 casi, è ancora più pressante per i governi nazionali la necessità di attuare delle campagne di comunicazione che vadano oltre i media tradizionali e che contribuiscano efficacemente alla prevenzione del contagio. Tali campagne non possono non considerare le criticità che affliggono i media tradizionali e il potenziale rischio sanitario dettato dalla diffusione di fake news tramite i sociali network.

In quest’ottica, un Paese che ha attuato una strategia comunicativa che tiene conto di tali elementi è stato il Sudafrica, il Paese con il più alto numero di contagiati da COVID-19 in tutto il continente, oltre 1600. Il Ministero della Salute di Pretoria, in collaborazione col Ministero della Comunicazione, ha concertato una campagna informativa tramite Whatsapp denominata “Health Alert”. Questa tipologia di campagna non solo abbatte le vulnerabilità di quelle effettuate tramite i media tradizionali, ma sfrutta a pieno le potenzialità dimostrate dai social network nella diffusione di notizie. Il Governo sudafricano ha scelto di affidare tale campagna informativa alla Fondazione Praekelt, un’organizzazione no-profit che aveva già supportato il Sudafrica in altre campagne di comunicazione, come quella contro l’HIV. Sfruttando il sistema Turn.io elaborato dalla stessa no-profit, Praekelt ha avviato una campagna informativa tramite Whatsapp. Per accedervi l’utente deve registrare tra i contatti del proprio smartphone un numero telefonico messo a disposizione dal Ministero della Salute. In seguito, attraverso la piattaforma messaggistica di Whatsapp, il cittadino potrà rivolgere al contatto dedicato: domande circa il COVID-19, avere dati sulla diffusione del virus nel Paese e accedere a molte informazioni suddivise per sezioni (notizie, numero di casi, miti, prevenzione, sintomi, rischi). Le risposte, in una prima fase elaborate dal Ministero stesso, sono un ritorno automatico in base alla parola chiave digitata dall’utente. Data l’eterogeneità della società sudafricana, il servizio “Health Alert” è stato pensato in cinque lingue: inglese, isizulu, afrikaans, isixhosa e sesotho. Inoltre, grazie al sistema Turn.io, il bot che processa le richieste è capace incrementare automaticamente la precisione delle proprie risposte e la gamma d’informazioni fornite agli utenti, apprendendo nuove parole chiave in base alla frequenza di utilizzo.

Le potenzialità della campagna messa in atto dal Ministero della Salute sudafricano sono molteplici. Difatti, il governo ha la possibilità di poter fornire informazioni circa il COIVD-19 ad un’ampia fetta di popolazione e senza alcun costo per la stessa. Oltre a ciò, il sistema elaborato dalla Fondazione Praekelt è incentrato sul social network più utilizzato nel Paese, permettendo alle notizie ufficiali di sfruttare lo stesso canale di diffusione delle fake news, colmando quel gap dimostrato dai media tradizionali. Perciò, le notizie così diffuse, affidabili e tempestive poiché elaborate direttamente dal Ministero competente, potrebbero essere un’arma molto efficace contro la diffusione sia del coronavirus, sia delle numerose fake news costruite attorno alla pandemia.

Inoltre, potenzialmente, la strategia concertata dal Sudafrica potrebbe essere applicata in altri Paesi e non solo del continente africano. Le tecnologie adottate richiedono l’impiego di un esiguo numero di personale, possono essere attivate rapidamente e supportano più lingue.  Difatti, basandosi su applicazioni e software già esistenti e testati, come Whatsapp e Turn.io, questo tipo di campagna comunicativa ha dei costi molto bassi, specie se si considera la platea che si potrebbe raggiungere (Whatsapp ha nel mondo due miliardi di utenti). Partendo da queste considerazioni, il 20 marzo l’OMS ha scelto di cofinanziare il progetto pilota sudafricano e di avviare la propria campagna informativa basata sullo stesso sistema, sempre tramite la Fondazione Praekelt. L’OMS ha lanciato la propria campagna di comunicazione in tre lingue, inglese, spagnolo e arabo, dichiarando di voler attivare lo stesso servizio in altre venti lingue, tra cui l’italiano.

Perciò in virtù di quanto detto, il progetto sudafricano “Health Alert” presenta tutte le caratteristiche per essere efficace nel contrato alla pandemia di coronavirus e all’epidemia di fake news che affligge il Paese. I costi contenuti e l’agile struttura del sistema ne fanno un virtuoso modello che potrebbe essere seguito non solo dall’OMS, ma anche da altri Paesi, africani e non. Nonostante tale sistema nasca in risposta a precise esigenze dell’Africa sub-sahariana, la sua rapidità d’implementazione lo rende potenzialmente applicabile anche in altri Paesi duramente colpiti dal COVID-19 come l’Italia. Difatti, Whatsapp è oggi la piattaforma di messaggistica maggiormente utilizzata anche dagli utenti internet italiani (84%) e, quindi, la campagna informativa potrebbe raggiungere ampia fetta di popolazione. Altri modelli, finalizzati al monitoraggio della diffusione del coronavirus, presentano un maggiore grado di complessità dal punto di vista legale, costituzionale e della privacy, alimentando un dibattito che ne rallenta l’applicazione. Un esempio è la strategia sud coreana, in cui i dati dei test dei cittadini postivi al coronavirus sono incrociati con i dati derivanti dai sistemi di geolocalizzazione degli smartphone degli stessi cittadini. Questa tipologia di sistema, oltre a poter essere percepita come invasiva da parte della popolazione poiché richiede l’installazione di apposite applicazioni, ha dei costi molto elevati poiché i dati aggregati così raccolti devono essere necessariamente protetti dal governo, stressando il perimetro di cybersicurezza nazionale, già messo a dura prova dal flusso dei dati conseguente alla quarantena e al lavoro da remoto. Di contro, il sistema “Health Alert” non richiede installazione di nuove applicazioni, ha dei costi molto bassi e non ha le implicazioni etiche e legali dei modelli incentrati sul monitoraggio. Perciò, una campagna informativa basata su questo sistema potrebbe essere un valido alleato nel contrasto al coronavirus e alle fake news anche in Italia.

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